Come una narrazione autentica e coerente può radicare un brand nel cuore delle persone e guidare decisioni complesse.
Ogni azienda ha una storia da raccontare e saperlo fare nel modo giusto è oggi più importante che mai.
grafica e strategia
Quando prendiamo una decisione, grande o piccola che sia, entriamo in un processo molto più complesso di quanto possiamo immaginare. Tre cervelli, ciascuno con le proprie funzioni e peculiarità, entrano in gioco per guidare le nostre scelte: il cervello rettiliano, il cervello limbico e il cervello corticale. È una sorta di dialogo interiore tra istinto, emozione e logica.
Il cervello rettiliano, che costituisce la parte più primitiva, è il nostro “guardiano istintivo”. Qui risiedono gli impulsi più basilari, come la paura e la risposta immediata agli stimoli. Pensiamo a quando vediamo un’offerta a tempo limitato: il cervello rettiliano ci spinge ad agire rapidamente per paura di perdere l’opportunità. Questo è il cervello che si attiva quando ci sentiamo minacciati o dobbiamo fare una scelta rapida, senza pensarci troppo.
Il cervello limbico, invece, è la sede delle emozioni. È qui che sentiamo il legame emotivo con un brand o con una storia e le decisioni che prendiamo (influenzate da questo cervello) sono quelle che ci fanno scegliere con il cuore. Immaginiamo di guardare una campagna pubblicitaria che racconta una storia toccante, come quelle che vediamo durante le feste: l’effetto è quello di connetterci emotivamente con il brand. Il cervello limbico ci invita a prendere decisioni basate su sentimenti profondi, come l’empatia e la gratitudine.
Infine, c’è il cervello corticale, la parte più evoluta, quella che utilizziamo per riflettere in modo razionale. Questo è il cervello che entra in azione quando compariamo i prezzi, valutiamo le caratteristiche di un prodotto, leggiamo recensioni. È il cervello della logica, quello che pesa i pro e i contro prima di decidere. Ma, come la neuroeconomia ci insegna, per quanto potente, il cervello corticale raramente agisce da solo: la logica è sempre accompagnata da emozioni e istinti più primitivi.
In questo scenario, le nostre decisioni non nascono mai esclusivamente dalla razionalità o dall’emozione: sono una combinazione di processi più complessi, che si distinguono per il modo in cui vengono elaborati. Questi processi decisionali si possono raggruppare in quattro categorie: controllati cognitivi, controllati affettivi, automatici cognitivi e automatici affettivi.
Quando parliamo di processi controllati cognitivi, ci riferiamo a decisioni che prendiamo in modo razionale, analizzando ogni aspetto in maniera consapevole. Ad esempio, scegliere quale smartphone acquistare dopo aver comparato modelli e caratteristiche richiede uno sforzo cognitivo e controllato. Ma non sempre le decisioni seguono questo schema rigoroso.
I processi controllati affettivi rappresentano scelte guidate da emozioni consapevoli, come quando scegliamo un regalo per una persona cara. In queste situazioni, anche se riflettiamo, è il legame emotivo che ci porta a preferire una scelta piuttosto che un’altra.
Esistono poi i processi automatici, sia cognitivi che affettivi, che sono quelli in cui le decisioni vengono prese senza un’analisi profonda. I processi automatici cognitivi riguardano decisioni prese per abitudine o esperienza: quando scegliamo un prodotto che usiamo da anni senza bisogno di rifletterci su. Invece, i processi automatici affettivi sono scelte che nascono in modo quasi istintivo, spinte da emozioni rapide e spontanee. Pensiamo, per esempio, a un acquisto impulsivo dettato dall’emozione del momento, magari durante una promozione flash.
Posizionamento e radicamento: un delicato equilibrio
La narrazione di un’azienda deve essere in grado di posizionare il brand nella mente delle persone, ma deve anche andare oltre, riuscendo a radicarlo nel loro cuore. Come sottolinea Giuseppe Morici, “non è impossibile piantare un albero in un giardino con un solo metro di terra. Si può fare. Semplicemente crescerà un albero più piccolo, più basso perché avrà radici meno profonde”. Questo concetto è cruciale per comprendere la differenza tra un brand che si posiziona efficacemente e uno che riesce davvero a creare un legame profondo e duraturo con le persone.
Oggi le persone non cercano solo un prodotto; vogliono appartenere a qualcosa di più grande, sentire che ciò che acquistano o con cui interagiscono rifletta i loro valori. Questo significa che le aziende devono non solo raccontare storie ma farlo toccando le corde delle emozioni e dei principi personali.
Un brand che si limita a posizionarsi potrebbe ottenere una visibilità temporanea, ma per costruire un rapporto duraturo, la narrazione deve essere capace di parlare sia alla parte razionale del cervello che a quella emotiva, unendo istinto, sentimento e logica. Questa narrazione non può essere superficiale: deve essere radicata nei valori, nelle esperienze e nelle emozioni.
Paolo Iabichino ci insegna che il marketing moderno non deve “urlare”, ma dialogare. Il concetto di “scrittura civile” diventa qui fondamentale: un brand che sa parlare con il giusto tone of voice, senza eccessi, e che sa rispettare il pubblico, crea un rapporto basato sulla fiducia e sulla coerenza, attraverso una narrazione che radica non solo il prodotto o il servizio, ma anche i valori del brand stesso.
Dove Invisible Dry: un esempio di narrazione perfetta
Senza entrare nel merito della campagna di Greenpeace di questi ultimi giorni (il cui cortometraggio “Toxic Influence” rivela le gravi discrepanze tra il marketing di Dove e il suo impatto ambientale), uno degli esempi più brillanti di come un’azienda possa parlare efficacemente a questi tre cervelli, bilanciando posizionamento e radicamento, è la campagna di Dove Invisible Dry del 2011. Questo spot ha saputo incarnare le regole d’oro della narrazione: un messaggio unico e chiaro, una comunicazione semplice e comprensibile, e un’immagine forte e memorabile (key visual).
Dove ha saputo comunicare con precisione e chiarezza un concetto che risuona sia a livello razionale che emotivo: un deodorante efficace, invisibile e delicato sui vestiti. La selling line è potente: “Invisible on 100 colours”. Un claim che, pur nella sua semplicità, fa leva su un forte insight (il timore comune di macchiare i vestiti con il deodorante) e offre una reason why concreta e razionale: una formula che risolve un problema reale e quotidiano.
La forza di questa campagna risiede nel suo approccio equilibrato: da un lato, parla al cervello rettiliano con una promessa chiara e immediata (niente macchie visibili), dall’altro stimola il cervello limbico facendo leva su una preoccupazione emotiva condivisa da molte donne. Infine, il cervello corticale è soddisfatto dalla logica e dalla coerenza del prodotto, supportato da prove concrete (maglietta indossata al rovescio).
Conclusione
Raccontare una storia aziendale autentica è un processo che richiede attenzione e cura. Non è solo una questione di posizionamento, ma di radicamento. Quando un’azienda riesce a toccare tutte le corde del nostro cervello, dall’istinto al sentimento razionale, si crea un legame profondo che non si limita al semplice atto di acquisto, ma coinvolge tutta la nostra persona. Un legame che dura nel tempo, radicato in un terreno fertile, fatto di coerenza, autenticità e verità.