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Miss Key & Mr. Wolf | Blog | Quando le parole creano barriere: critica (ragionata) al linguaggio nella comunicazione tra agenzia e cliente

Come evitare che l’esperienza diventi un labirinto linguistico per costruire una comunicazione veramente inclusiva.

Dobbiamo imparare ad abbandonare il linguaggio esclusivo e riscoprire il valore della semplicità a beneficio di una più efficiente arte della sintesi nella comunicazione tra agenzia e cliente.

grafica e strategia
articolo dell'agenzia grafica e creativa di Castelfranco Veneto Miss Key & Mr. Wolf sul linguaggio nella comunicazione tra agenzia e cliente

In ogni ambito professionale la comunicazione dovrebbe avvicinare, chiarire e semplificare. Eppure, capita spesso che proprio chi della comunicazione ha fatto il proprio mestiere cada nella trappola di un linguaggio tecnico e criptico che crea più distanze che vicinanza.

Mi è capitato di trovarmi durante una presentazione – virtuale o vis à vis – a utilizzare un gergo troppo specialistico: parlando di “brand positioning” e “value proposition” senza esempi concreti, mi sono reso conto troppo tardi di aver perso l’attenzione dell’interlocutore, leggendo nel suo sguardo più confusione che comprensione. Certo, i termini erano precisi ma, non accompagnati da esempi chiari, sono stati tradotti in vuoti e meri esercizi linguistici alla Queneau.

La lingua dei “comunicatori”: tecnica o elitaria?

Il linguaggio tecnico è certamente prezioso: aiuta a definire chiaramente concetti e strategie. Il problema nasce quando diventa un ostacolo, un codice che crea esclusione. Parlando di “synergy“, “disruption” o “leverage“, non sempre semplifichiamo: spesso stiamo soltanto celebrando il nostro status professionale, dimenticando che l’obiettivo primario è essere compresi.

Si tratta del principio de “l’antilingua” di Calvino secondo cui un linguaggio burocratico o artificiale spesso nasconde più di quanto chiarisca (“Perciò dove trionfa l’antilingua – l’italiano di chi non sa dire “ho fatto” ma deve dire “ho effettuato” – la lingua viene uccisa”).

E questo avviene frequentemente nella comunicazione professionale: termini come “brand awareness” invece di notorietà del marchio, “customer journey” al posto di esperienza d’acquisto o “engagement rate” per indicare semplicemente il coinvolgimento del pubblico, non solo oscurano la realtà ma riducono anche l’impatto emotivo, cancellandone la dimensione umana.

Come uscire da questa trappola? Credo che la chiave risieda nell’uso intelligente di esempi e metafore, secondo un approccio simile a quello che si ha con i bambini, non per questo meno efficace. Il linguaggio tecnico è importante, ma deve essere sempre accompagnato da esempi tangibili e immediatamente comprensibili.

Quando parliamo di “brand positioning“, potremmo spiegarlo così: “Immagina la tua azienda come qualcuno che incontri a una festa. Se è simpatico, accogliente e (sembra) affidabile, sarà più facile ricordarlo e volerlo rincontrare. Questo è il tuo brand positioning: la percezione che le persone hanno del tuo marchio“.

Oppure, parlando di “lead nurturing“, anziché limitarci a definirlo come la costruzione di relazioni con potenziali clienti, possiamo dire: “Immagina di prenderti cura di una pianta: devi annaffiarla regolarmente, darle luce e nutrimento perché cresca bene. Il lead nurturing è proprio questo: curare costantemente la relazione con il tuo pubblico fino a farla sbocciare in una decisione di acquisto“.

“Aspettando” la chiarezza: una lezione da Beckett

L’opera teatrale “Aspettando Godot” di Samuel Beckett (a cui sono personalmente molto legato) offre una metafora potente: i personaggi, seduti su una panchina, aspettano qualcosa o qualcuno che, forse, non arriverà mai. Nella comunicazione, spesso chi ascolta rimane in attesa della chiarezza e della semplicità promesse, intrappolate in un linguaggio tecnicamente impeccabile ma poco comprensibile. L’attesa infinita diventa metafora di una comunicazione che deve uscire dalla sua complessità per diventare davvero efficace.

Con questo non voglio suggerire di abolire i tecnicismi, bensì di affiancarli a strumenti comunicativi più umani e accessibili. Il linguaggio dovrebbe sempre essere un ponte, mai una barriera.

Chi si affida ad agenzie di comunicazione o professionisti in tale ambito cerca chiarezza e semplicità, non dimostrazioni di “superiorità” linguistica. Ogni termine tecnico deve essere accompagnato da esempi concreti, traducendo concetti complessi attraverso metafore che ne facilitino la comprensione immediata.

Comunicare = dialogare

Dobbiamo imparare ad abbandonare il linguaggio esclusivo e riscoprire il valore della semplicità a beneficio di una più efficiente arte della sintesi.
La vera sfida della comunicazione è proprio evitare la cosiddetta obnubilazione semantica, ossia l’oscuramento involontario del significato.

Ops, errore mio. Mi spiego meglio. Proviamo a immaginare di guardare il mondo attraverso una finestra appannata: riusciamo a distinguere forme e colori ma tutto è confuso e poco nitido. Scegliere un linguaggio inclusivo è come pulire accuratamente quella finestra, restituendo chiarezza e limpidezza al nostro messaggio.

Solo così riusciremo davvero a incontrarci e comprenderci.
E a raccontare storie che valga la pena ascoltare.

articolo dell'agenzia grafica e creativa di Castelfranco Veneto Miss Key & Mr. Wolf sul linguaggio nella comunicazione tra agenzia e cliente

Se anche tu credi che una comunicazione autentica, semplice e comprensibile sia fondamentale per connetterti con il tuo pubblico, siamo qui per ascoltarti. Parliamone insieme e troviamo il modo più efficace di raccontare la tua storia con chiarezza ed empatia.

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